Riflessioni di fine millenio
Carlo Oliva
novembre 1999

da
"A" Rivista Anarchica
anno 29 numero 259

Ammettiamolo pure. Dal punto di vista di coloro che l'avevano elaborata, l'ipotesi che l'alba dell'anno 1000 dopo la nascita di Cristo potesse segnare la fine di questo povero mondo non mancava di una certa logica. Mille, in sostanza, è una bella cifra tonda e una volta ammesso che l'Universo sia il frutto dell'attività di un Creatore intenzionato, un giorno o l'altro, a porvi clamorosamente fine, l'idea di far coincidere questo atto estremo con una data in qualche modo significativa, una data che chiunque, purché dotato di un po' di sale in zucca, avrebbe potuto facilmente prevedere, cogliendo l'occasione di prepararsi spiritualmente all'inevitabile palingenesi, sembrava abbastanza ragionevole. Naturalmente bisognava ammettere un certo numero di postulati, diciamo così, minori: bisognava sorvolare sul fatto che mille fa cifra tonda soltanto nel sistema decimale, che non è certo l'unico sistema numerico possibile, ed era necessario supporre, a rischio di peccare di superbia, che il Sommo Fattore si interessasse esclusivamente al nostro pianeta e a quella non grandissima parte di suoi residenti che dalla data di nascita (supposta) di uno sfortunato profeta palestinese contavano gli anni della propria era. Ma questi erano appunto dati su cui la cultura europea dell'epoca non aveva dubbi. Si sarà certamente discusso con accanimento di argomenti minori, quali l'opportunità di contare gli anni a partu, come facciamo noi e allora facevano i più, o ab incarnatione, come preferivano alcuni, nel qual caso il patatrac sarebbe stato anticipato al 25 marzo, e senza dubbio il partito di quanti ponevano la fine millennio al 31 dicembre 999 si sarà scontrato con la scuola di pensiero di quelli che ritenevano più corretto collocarla un anno dopo, perché un migliaio deve comprendere mille unità e non novecentonovantanove, eccetera eccetera, ma - nel complesso - del fatto che l'approssimarsi di quelle date giustificasse una certa inquietudine non dovevano essere in molti a dubitare. Se poi quell'inquietudine si fosse risolta - com'è capitato - nel più classico dei falsi allarmi, tanto meglio per tutti.
Oggi, naturalmente, le condizioni culturali sono abbastanza diverse. Sappiamo tutto sulle aritmetiche non decimali (per lo meno da quando ne scrisse, nel 1670, Giovanni Caramuel, vescovo di Vigevano) e abbiamo dovuto ristrutturare la nostra teologia per far fronte agli imperativi convergenti dell'ecumenismo e delle moderne teorie cosmologiche. Persino il Papa, che è il Papa, avrebbe qualche difficoltà a sostenere che il suo Principale si attiene, nel contare i secoli e gli anni, ai calcoli di Dionigi il Piccolo. Di un redde rationem di origine divina, attualmente, non ha paura nessuno. Oltretutto, abbiamo corso tante di quelle volte il rischio di distruggere noi il nostro mondo, accumulando ordigni nucleari, praticando buchi nella fascia dell'ozono, scatenando virus perniciosi e scardinando ogni possibile equilibrio ambientale, che un eventuale intervento in tal senso dell'Onnipotente non può che sembrarci, parlando con tutto il rispetto, affatto superfluo.

Globale sputtanamento
Eppure le preoccupazioni millenaristiche sembrano inesauribili. Sarà un caso, ma l'avvicinarsi della mezzanotte dell'ultimo giorno del 1999 suscita allarmi paragonabili a quelli sperimentati dai nostri antenati dieci secoli fa. I cieli forse non si squarceranno, il suono delle trombe angeliche non annuncerà, salvo sviluppi imprevisti, l'ultimo giudizio, i morti se ne resteranno tranquilli nelle loro tombe, ma non per questo eviteremo la catastrofe che a quanto pare inerisce al triplice nove. A farci pagare i nostri molti peccati provvederà inesorabile il Baco del 2000 (Y2K Bug, per i più aggiornati): l'insidioso algoritmo annidato nella programmazione dei meccanismi cui è delegata l'amministrazione del nostro quotidiano benessere. Eviteremo, con ogni probabilità, lo sputtanamento globale della valle di Giosafat, ma corriamo il rischio di soccombere di fronte al blocco di una moltitudine di computer incapaci di rendersi conto, perché nessuno glielo ha spiegato, che il doppio zero che il loro calendario a sei cifre farà seguire al trentun dodici novantanove non significherà millenovecento, ma, appunto, duemila.
Intendiamoci. Chi scrive non nasconde la propria abissale ignoranza in tema di programmazione informatica (e fosse solo in quello). In compenso, ha avuto a che fare con i computer quanto basta per rendersi conto che si tratta di manufatti altamente infidi, per cui non ha la minima intenzione di escludere che il problema esista e sia serio. Personalmente intende prendere tutte le possibili precauzioni, evitando di farsi trovare dall'ora X su un aereo in volo, o chiuso nella cabina di un ascensore, o sotto la doccia o in analoghe situazioni di vulnerabilità.
Consiglia a tutti quanti se lo potranno permettere di trasferirsi per il prossimo San Silvestro in una località dal clima mite, o, per lo meno, di indossare la maglia pesante e di tenersi a portata di caminetti e stufe a legna, caloriferi a bombola o a serbatoio di cherosene, o altri meccanismi produttori di calore non dipendenti da un'erogazione automaticizzata di energia esterna. Ma non riesce, proprio non riesce, a non pensare che il baco del duemila rappresenti una versione culturalmente e tecnologicamente più aggiornata della cara e vecchia fine del mondo. L'incapacità dei computer di leggere e comprendere il significato del doppio zero viene interpretata come l'incapacità stessa della nostra cultura di affrontare il nuovo millennio.

Un milione di bachi
D'altro canto, basta pensarci un po' su per accorgersi che quello di affrontare un millennio non è un problema da poco. Di un millennio (di qualsiasi periodo predeterminato di tempo) possiamo essere sicuri solo quando finisce. Dire che domani comincerà un nuovo millennio è soprattutto un azzardo, nel senso che se possiamo dare abbastanza per scontato che il pianeta compirà un altro migliaio di rotazioni attorno al sole, nulla ci garantisce che ci sarà qualcuno a contarle tutte o, se anche qualcuno ci sarà, che sarà disposto a prendere come punto di avvio dei suoi conteggi lo stesso che usiamo noi. Non vorrei suonare inutilmente irriverente, ma nulla esclude che i nostri discendenti, se ne avremo, tra qualche secolo riterranno più interessante, come punto di partenza delle loro cronologie, qualche altra data. Dire che è passato un millennio significa riconoscere che per mille anni l'umanità, o parte di essa, ha tenuto fermo un punto di riferimento cronologico comune, come a dire che ha dato a un certo evento un valore epocale, e queste non sono cose da poco. I valori, tutti i valori, contano soltanto dal punto di vista di chi li stabilisce.
In effetti, poche civiltà possono vantarsi di aver "vissuto" più di un millennio; pochissime sono arrivate ai due. Il calendario ebraico dovrebbe essere giunto, se non m'inganno, all'anno 5759, ma solo perché si giova di un complesso calcolo retrospettivo, ed è comunque un caso unico. Nei paesi islamici, al momento, non si è andati oltre il millequattrocentoventesimo capodanno. I padri romani festeggiarono con gran pompa il loro primo millennio (che l'imperatore Marco Giulio Filippo celebrò con splendidi giochi in quello che per noi è il 248 d.C.) ma tre o quattro secoli dopo a numerare gli anni ab urbe condita non ci pensava più nessuno. Visto che non potremo mai essere sicuri che i posteri considereranno importanti gli eventi che consideriamo importanti noi, cioè che conserveranno il quadro valori che ci siamo dati (perché di questo si tratta) l'atteggiamento di chi affronta una scadenza plurisecolare, o addirittura millenaria, è quello di chi scommette sulla propria sopravvivenza, personale o di gruppo. In queste circostanze, non che stappare champagne, è il caso soprattutto di fare gli scongiuri. Se ci sarà un futuro, sappiamo già che finirà per darci torto. Se non ci sarà, il nostro aver ragione coinciderà con la fine in assoluto. La scelta è sgradevole, anche perché non dipende in alcun modo da noi. Ce n'è quanto basta per giustificare non uno, ma un milione di bachi.
I quali bachi, peraltro, non vengono certo dall'esterno, non sono il frutto di circostanze incontrollabili e di necessità sostanziali d fronte alle quali non si può che chinare il capo. La paura della fine del mondo si estrapola organicamente da tutto un insieme di credenze e di insegnamenti di cui i detentori del potere si sono serviti per secoli al fine di tenere al loro posto i soggetti. La prospettiva di un catastrofico blocco dei sistemi computerizzati è la figlia di scelte compiute a mente fredda da chi, a suo tempo, ha scelto la prospettiva del guadagno immediato rispetto a quella dell'affidabilità del prodotto. I veri bachi che tarpano le ali all'umanità restano l'avidità di potere e quella di sfruttamento economico. Ma questo, naturalmente, è tutto un altro discorso.

Carlo Oliva